L'OPINIONE
Si fa presto
a dire TURISMO


Di Pietro Busetta
O rmai le città d'arte pretendono il numero chiuso. Cosa significhi è presto detto. Venezia come Firenze, Roma come Siena, non reggono più al flusso turistico dei visitatori. In certe stagioni dell'anno il numero dei turisti è talmente elevato da non consentire una gestione adeguata del flusso. E presto il Giubileo porterà in Italia venti milioni di pellegrini. Sembra un bollettino di guerra, una cronaca di una visita annunciata difficilmente gestibile. D'altra parte chiunque in questi mesi della nostra primavera vada in giro per l'Italia, si accorgerà dell'enorme flusso che invade tutte le città che sul turismo hanno puntato e che hanno le caratteristiche per farlo. Il Mezzogiorno viene solo sfiorato da tale flusso. Al di là di Pompei, Capri e Taormina, il resto del Sud non riesce a convogliare un numero di visitatori proporzionato all'interesse che i suoi beni culturali potrebbero suscitare. La Valle dei Templi, i Bronzi di Riace, Paestum o Segesta, malgrado siano dichiarati beni culturali appartenenti al mondo, non riescono a produrre quel flusso di reddito che, invece, riesce a portare il David di Michelangelo. La Sicilia, in particolare, che possiederebbe il 30% di tutti i beni culturali esistenti in Italia (che a sua volta ne possiederebbe il 70% di quelli esistenti nel mondo), non riesce a convogliare verso le proprie zone un flusso di visitatori che consenta di far diventare tale risorsa un patrimonio utilizzato. Così va il mondo: alcuni hanno l'alluvione, altri muoiono di siccità. Bisogna sottolineare, in realtà, che la dotazione infrastrutturale, relativa al numero dei posti letto disponibili, è ancora molto carente. Infatti, se la nostra Isola dovesse avere un flusso turistico proporzionale alla dimensione della Regione dovrebbe possedere un numero di posti letto, rispetto al resto del paese, proporzionale, per esempio, alla propria popolazione. Quindi il 9% del totale, come i cinque milioni e duecentomila abitanti dell'isola sono circa il 9% dei cinquantotto milioni di abitanti del Bel Paese. Se, invece, si pensa alla dotazione di beni culturali ma anche paesaggistici esistente dovrebbe, la Sicilia, avere un numero di posti letto di gran lunga superiore per consentire a tutti un soggiorno nelle nostre zone. E invece no! Non solo la dotazione non è superiore a quella proporzionale alla popolazione, ma è, addirittura, di gran lunga inferiore. Si parla di un 4% di posti letto esistente nel paese. Ben poca cosa, considerato che, a detta di molti, il settore dovrebbe costituire il volano dello sviluppo economico della Regione. Certo, molti nutrono forti perplessità che un settore come quello turistico possa essere trainante per l'economia di una regione con più di cinque milioni di abitanti. Infatti, senza un retroterra, senza un'industria manifatturiera che consenta di utilizzare al massimo le risorse che i visitatori possono portare, è difficile che la branca sia utilizzata al massimo. Bisogna fare in modo che chi arriva consumi anche i nostri prodotti e non solo quelli di altre regioni. Ma, al di là di tali condivisibili considerazioni, il fatto è che non vi sono le condizioni strutturali perché il turismo diventi spina dorsale dello sviluppo. E la soluzione dei paesi albergo, tanto cara a qualche amministratore, presuppone una capacità organizzativa che certo non è tipica delle nostre zone. E allora che fare? Bisogna in prima battuta che il problema diventi un obiettivo del governo regionale, finora preoccupato molto più a risolvere i problemi dell'emergenza impiegando risorse in progetti miranti a dare cosiddetto lavoro ad articolisti o a lavoratori socialmente utili. Certo, l'emergenza è importante e non può non essere affrontata, considerato, peraltro, che sta diventando drammatica. Ma, se continuiamo a dare un pesce ogni mattina all'articolista senza impiegare le poche risorse disponibili per insegnargli a pescare non faremo molta strada. Cosa deve fare il governo e il pubblico è preso detto: deve fare la sua parte che, invece, non fa. Vuol dire che deve fare in modo che la gente possa lavorare in pace senza dover contrastare con una burocrazia lenta, con i permessi che non arrivano, insomma deve fare in modo che la sua presenza, quella del pubblico intendo, si veda il meno possibile in modo da consentire al privato che ha iniziativa di poter intraprendere nel settore una qualche attività. Ma ciò non basta. Ormai il turismo è un'attività globalizzata non meno che la produzione di automobili o di computer, con una serie di operatori internazionali che riescono a muovere i flussi di visitatori come vogliono, portandoli a Bangkok piuttosto che in Florida o nei Caraibi. Bisogna incoraggiare tali operatori ad investire nelle nostre zone, ad avere interessi forti nelle nostre aree. Il turismo è un fatto economico talmente rilevante da avere necessità di specialisti. Ponti d'oro agli operatori seri che vogliono trovare forme di investimento da noi. Autorizzazioni in tempo reale, ricerca di aree interessanti per loro conto, chiavi in mano, possibilità immediatamente cantierabili, senza le lungaggini burocratiche che scoraggiano chiunque. Si pensi cosa ha rappresentato il Club Mediterranee per Cefalù, dove a traino sono sorte una serie di piccole iniziative che hanno sfruttato l'immagine comunicata dal club. E' possibile che tutto questo avvenga in una terra dove si rischia di far saltare un avvenimento come le Universiadi , che viene utilizzato dalla pletora pubblica assistita, al massimo, per farsi il viaggio gratis in Giappone? E' difficile, ma non impossibile se con forza ci impegneremo tutti a controllare che le azioni del pubblico siano conseguenti ad un progetto ,e non frutto di decisioni arbitrarie per favorire gli amici degli amici.