Lo Sport in Sicilia, ambizioni e limiti

Le verità degli addetti ai lavori


di Dina Lauricella
M are, sole, profumo di zagara e gelsomino, arte, cultura e un pizzico di esotico che la rende magica. E' questa la Sicilia della quale ci s'innamora ma nella quale diventa ogni giorno più difficile vivere. Un federalismo socioculturale, già in atto, distingue la nostra Isola dal resto d'Italia trasformando il mare in un enorme muro. Non c'è progetto nato e destinato alla Sicilia che non rimanga impelagato in miriadi di pastoie burocratiche. Non crediamo che sia un problema di "capacità" o strettamente legato al denaro. Diversamente dal resto d'Italia, infatti, la Sicilia, come regione a statuto speciale ha sempre goduto del supporto dei soldi stanziati dalla regione, oggi decisamente meno florida. La rabbia aumenta se si pensa che tali limiti sussistono anche nel mondo dello sport, dove per ragioni atmosferiche, bellezze naturali e la grinta che ci caratterizza, dovremmo riuscire a esprimere molto di più. Cosa manca allo sport per poter finalmente decollare? Strutture, capacità organizzative o finanziamenti pubblici? Lo abbiamo chiesto a due addetti ai lavori, il capo servizi allo sport di RAI 3 Gianni Pietrosanti e il responsabile dello sport del Giornale di Sicilia Guido Fiorito. "Bisogna distinguere tra organizzazioni sportive di largo respiro e quelle medio-piccole" afferma Gianni Pietrosanti. "In Sicilia abbiamo sempre avuto come unica risorsa l'ente pubblico che oggi, per l'attuale situazione delle finanze da un lato e per la mancanza di ritorno a livello d'immagine dall'altro, non è più disposto a versare questi contributi. L'unica eccezione è la Provincia Regionale di Palermo nei cofronti di una società come l'UF città di Palermo calcio. Ma tutto ciò trasferito alle piccole e medie società non trova nessuna risposta. Bisogna contare sulle proprie risorse o sugli sponsors che, per esempio al nord, permettono ancora grosse manifestazioni". Secondo Guido Fiorito "il gap tra le società sportive siciliane e quelle del nord non è tanto a livello d'organizzazione. E' un problema finanziario e d'infrastrutture. L'ente pubblico al nord serve essenzialmente a dare impianti, non soldi. La Regione Sicilia i soldi li ha stanziati, se questi sono andati perduti è per colpa dei comuni che, sia per mancanza di sensibilità verso lo sport, sia per mancanza d'organizzazione, non hanno saputo sfruttarli. In pratica, se mancano gli impianti non è colpa della regione ma dei comuni che non li hanno costruiti". Le Universiadi potevano essere, sotto questo punto di vista, un'ottima occasione di riscatto per la Sicilia: "un'occasione mancata" ribadisce Pietrosanti. "Avevamo l'opportunità, al di là dell'avvenimento in sé, di costruire delle palestre e delle strutture alternative. Questo significa che in Sicilia nemmeno le grosse iniziative riescono a smuovere qualche cosa, o meglio, se ci riescono lo fanno in mezzo a mille difficoltà di carattere burocratico". "Il totale di impianti previsti per le Universiadi sono cinquantacinque" dice Fiorito mostrandoci dei dati recentemente raccolti; "in tutto quelli nuovi sono sette ma sei di questi, probabilmente, non saranno portati a termine per fine agosto", data fissata per le Universiadi. Tutto questo comporta dei limiti per chi fa sport e ha ambizioni; è sicuramente difficile per un singolo elemento crescere se non ha una società importante alle spalle disposta non solo a investire soldi nell'acquisto di atleti stranieri, ma anche a spendere tempo nella cura dei vivai. E' proprio su questo principio che si basava la nuova linea politica adottata dal Palermo calcio per riuscire a fare il salto di qualità. "Questi giocatori siciliani hanno mostrato di saper fare grandi cose sfruttando l'entusiasmo del primo anno" commenta Fiorito, "ma nel momento in cui c'era da oganizzarsi e da essere più compatti hanno mostrato dei limiti. Abbiamo delle ottime capacità individuali che però non riescono a strutturarsi l'una con l'altra". Lo stesso discorso vale per altri sport come il basket, la pallanuoto o la pallavolo secondo Pietrosanti, "dove società come la Rio Casamia da anni inseguono la serie A perdendo di vista la grossa opportunità di far crescere le ragazze in casa. E' in una società come la Polidor, seguita dal tecnico Ario de Giovanni, il quale cura con grande attenzione il vivaio, che un individuo può crescere. Le società non si rendono conto che tre anni di "buio" sono necessari per consentire la maturazione dei giocatori divenendo loro stessi i protagonisti di un sogno che si può avverare". Pietrosanti conclude auspicando società che partano con meno ambizioni e che creino un ambiente sereno nel quale far crescere e maturare i singoli elementi. Non sono solo i muri intorno alla Sicilia che bloccano il nostro lavoro. Se le cose non riescono, se tutto è troppo complicato forse è anche colpa della nostra incompetenza. Chi è causa del suo mal... si rimbocchi le maniche e metta da parte inutili lamentele vittimistiche.