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PAOLO VILLAGGIO TUTTO EI PROVÒ

Certamente non entrerà nell'Olimpo molieriano per questa sua interpretazione di Arpagone, con la quale è comunque riuscito a strappare gli applausi migliori anche al "diffidente" pubblico palermitano. Salutato da un'ovazione la sera dell'ultima replica de "L'Avaro", Paolo Villaggio, eclettico personaggio cine-televisivo, ha bruciato la sua ultima tappa, quella teatrale! Vittima, forse, di una comicità troppo "fantozziana", di sicuro non pienamente fedele ai tratti originali, questo Arpagone-Villaggio, poco credibile ambasciatore secentesco, ...avrà così finalmente conquistato il diritto ai funerali di stato...?

Autorizzati a violare la sua privacy, poco prima dell'inizio dell'ultimo spettacolo, abbiamo rivolto qualche domanda a Paolo Villaggio, seguendolo in camerino dove abbiamo assistito al rituale del cambio e del trucco, più attoniti che mai di fronte alla sua naturalezza nel rilasciare l'intervista in mutande!

Al termine di una lunga carriera cinematografica, questa importante esperienza teatrale: pensa di ripeterla?

"Sicuramente no. Era solo una scommessa che serve a costruirsi una biografia: perché, in questo paese bigotto, se non hai fatto anche un'esperienza come attore semi-drammatico con Fellini, o drammatico con Olmi, o patetico con la Wertmuler, o con Monicelli, oppure altrettanto patetico come Arpagone, nell'interpretazione che ne ho dato io, non hai diritto a dei funerali di stato.

Alla mia età non puoi avere dei grandi obiettivi da raggiungere e quindi bisogna cinicamente premeditare degli obiettivi di prestigio... e il prestigio consiste, purtroppo, nell'essere attore drammatico, serio, impegnato.

Quello di oggi è un teatro troppo tedioso, presuntuoso. Il teatro italiano del dopoguerra, a parte Garinei e Giovannini, (che spesso comunque copiavano o comperavano i diritti di brani teatrali che andavano bene a Broadway), si è basato soltanto sulla politica degli stabili, la cui caratteristica comune era quella di annoiare il pubblico con un teatro molto culturale, molto tecnico, sulla linea di Brecht...Un teatro fatto soprattutto da tedeschi politicizzati che i ricchi borghesi per oltre 40 anni hanno subito".

Ma ci sono dei grandi talenti in Italia?

"Il nostro paese riconosce i grandi talenti soltanto dopo che questi hanno ricevuto un riconoscimento all'estero. Così è stato per Fellini, per Tornatore, per Dario Fo, anche se quest'ultimo è stato ampiamente criticato, definito "guitto". Il nostro è un paese con una profonda matrice cattolica e quindi moralista, non morale... e questo lo ha ampiamente dimostrato, soprattutto qui al sud, a Palermo".

Come ha trovato la nostra città?

"Tutti mi chiedono com'è Palermo e si aspettano che io risponda "formidabile". se non rispondi "formidabile" si adontano, se dai loro però la possibilità di parlare male della loro città, sono i primi a farlo! Palermo è una città sporca, tutta da ristrutturare, della quale il cemento degli anni '50 ha fatto una delle città più brutte del Mediterraneo, dove il traffico è ripugnante, dove i giudici girano con l'esercito..."

Secondo lei, l'attuale sindaco potrebbe dare una svolta a questa situazione?

"Con Leoluca Orlando è cominciata forse una politica più illuminata ma, a mio avviso, ci vogliono almeno 200 anni perché questa città possa somigliare ad Amsterdam, per quello che riguarda gli edifici, l'amore per la città".

I palermitani, dunque, non amano la loro città?

"Qui c'è un disprezzo assoluto, non gliene frega realmente niente a nessuno, la considerano terra di conquista, in ogni modo, invadendo le corsie preferenziali...Non si ha il senso della res publica, che è la cosa fondamentale in uno stato moderno".

Cambiamo argomento: l'ultimo libro che ha letto?

"Lo sto ancora leggendo, è "India, continente ferito", scritto da un indiano, Shamar, emigrato dall'India a Trinidad, una specie di colonia inglese dei Caraibi, dove il 50% della popolazione è indiana, e poi, ritornato in India, ne fa un quadro terribile. Io leggo molto: un tempo leggevo per diletto, oggi leggo per addormentarmi, perché la televisione mi addormenta immediatamente!"

L'ultimo film che ha visto al cinema, che non sia un suo film?

"Titanic".

Che cosa ne pensa di questo cinema sulla scia di Pieraccioni?

"E' un cinema di grandissimo successo, l'ho fatto anch'io per tanti anni. E' un cinema, comunque, non esportabile. A parte Tornatore e Salvatores, il cinema italiano non c'è più sui mercati esteri. La cultura è cambiata: è un miracolo Benigni. Produzioni come "Tre uomini e una gamba", "Ovosodo", che ha anche ricevuto un riconoscimento a Venezia, abbiano addirittura battuto il cinema americano".

Va mai a teatro da spettatore?

"Sono andato a vedere Gassman perché mio amico, Tognazzi perché era mio amico, ma adesso non ci vado più perché il teatro è divertente solo per chi lo fa. Il pubblico degli abbonati è un pubblico di signori settantenni, imprigionati in quarta fila, con problemi di prostata..." (accompagnando le parole con una espressione del viso tipica del ragioniere più famoso d'Italia ndr).

...E il pubblico palermitano?

"Il pubblico dei giovani qui è vulcanico, uguale a quello di Modena, di Cesena, di Milano... I giovani, unificati dalla televisione con la loro presenza, affermano la loro voglia di protagonismo".

Usciti dal camerino, mancano solo cinque minuti allo spettacolo: il pubblico riempie già il teatro Biondo, pronto a divertirsi... speriamo che anche Strehler, da lassù, sorrida!


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